Per ora
il titolo
della pagina.
Luogo del delitto?
Da scemo iniziare il racconto citando l’incidente di percorso.
Non perché il sacro, giustificato, strale.
Quanto perché è proprio da idiota.
Senza cervello e senza fantasia.

Spazio e tempo sono sempre soggettivi alle velocità di trasferimento,
meccanico o del pensiero.
L’auto scendeva veloce verso la borbonica costa est.
Questa volta il benvenuto era affidato ad una bellissima giornata di fine stagione, una di quelle che accendono i colori del mare e della terra che risente ancora dei fuochi estivi.
Fuochi che da queste parti non sono immagine per descrivere le alte temperature ma incendi veri, brutali violentatori di una terra magnifica.
L’autostrada è alle spalle come l’altra volta quando il benvenuto fu affidato da un fortunale.
Una di quelle tempeste di vento, pioggia e fulmini che sconvolgono aria, mare e terra per un breve tempo ma lasciano tracce indelebili per le distruzioni che portano alle umane cose.
La mente allora corre ad uno spettacolo in Sicilia quando vennero raccontati alcuni brani di Tomasi di Lampedusa che avrebbero dovuto rallegrare la brigata di mangiapane a tradimento ma sapendo ascoltare tutto c’era fuor che rallegrarsi.
Quella discesa sotto il fortunale non lo impensieriva, forte della trazione integrale, forte della sicurezza, forte del fatto che il cervello collegato ti impedisce di fare cazzate in protezione di chi è al fianco.
Preoccupata, forse.
“Lui” infonde sicurezza quando guida come dio comanda, anche quando corre e bussa al coglione davanti perché si levi dalla corsia di sorpasso.
A duecento all’ora.
Come s’è levato lo stronzo.
La marca è la stessa, la discesa pure. Il meteo fuori è l’opposto:
Sole e luce splendente.
Fuori.
Dentro la solitudine lo accompagna e porta immagini di tante altre discese con latitudini e longitudini diverse.
Con tanti meteo diversi, brilla tra i ricordi il Sole al tramonto che pareggia l’azzurro di mari diversi.
Quel Sole che – lo vedo ora – fa risplendere le spighe di grano pronto per la falciatura.
Daniela.
Si chiamava Daniela.
Era la cugina di Cinzia.
Cinzia, una signora dal volto buono.
Un po’ sindacalizzata.
Roberto s’incazzò.
Le trecento buste le chiudemmo lui ed io,
fuori dell’orario delle mezze calzette.
Daniela era la biondina cugina di Cinzia.
Cinzia una signora dello staff di Roberto.
Polemica ma di grande affidabilità.
Nell’orario di contratto.
Daniela voleva, io no.
Avevo responsabilità.
Allora in quella discesa tutta ponti e viadotti e gallerie la WRX scendeva velocissima incurante di grandine e pioggia battente. All’orizzonte della discesa del fortunale si intravedeva il chiarore della fine della bufera. Dopo la pioggia un bagno sarebbe stato magnifico. Sento la temperatura dell’acqua di quel bagno. Il costume era indossato sin dalla partenza. Allora.
Oggi non è neanche nel bagagliaio.
E non è una WRX.
E non è la stessa velocità.
Correre, veder correre, veder come guida davvero è esperienza di poche persone.
Andando ad un funerale una persona “dietro” sentenziò. “Velocissimo ma infondi sicurezza”.
Andando a Roma una persona seduta “dietro” in un tratto oggi fin troppo familiare di una certa autostrada del sol levante sentì la necessità di allacciare la cintura di sicurezza.
Nonostante la Svezia fosse accreditata di grandi qualità.
Ma allacciando la cintura la persona non disse una parola.
A decollo compiuto qualcuno disse “devo andare meno veloce?”
Il balbettio non venne percepito così è difficile ricordare ciò che non si percepisce.
L’andatura potrebbe sembrar quella d’un vecchio rincoglionito.
L’andatura è quella che fa funzionare la batteria durante la marcia, così tutto è più morbido ed avvolgente. Bello guidare in quel modo.
Leggera andatura.
Le mani si incrociano.
Lui non ricorda se l’ha offerta o gli è stata presa.
E’ passato così tanto tempo da quelle discese tra pioggia e Sole che è difficile ricordare.
Due o tre cose possono far riscaldare l’Anima in certi momenti.
Una mano nei capelli, una carezza sul viso, un accenno di desiderio con una mano sul collo,
che poi accarezza la nuca.
Non l’ha mai fatto Daniela ma non lo ha mai fatto nessuna altra.

Avevo responsabilità.
Ne ero consapevole,
già ieri,
che non ne sarebbe valsa la pena.
Neanche per Susanna, mia figlia.
Ed il tempo ha chiarito
ciò che 25 anni fa già sapevo.
Sarebbe stato molto meglio concentrarsi
su “altro”,
Daniela.
Per esempio.