L’ESIGENZA

Tutte le mie fotografie, i racconti – tutti – qual che siano i colori, nascono da un solo desiderio. Avere la possibilità di Amare. Poi, dopo, poi, essere anche Amato. Non ho avuto nessuna delle due “cose”.

“IL LIBRO” –
IL NEMICO DA ABBATTERE

A “Lui” le auto italiane moderne, quelle dei suoi tempi, non erano mai piaciute.
Le fanciulle italiane, sì.
Molto.
Solo una parentesi con una bellissima Donna del Marocco ma contaminata dal DNA di Parigi.
Una di quelle storie che se le racconti… e qui c’era una pagina con un racconto che descrive quel che avvenne nell’estate rovente del 2003. Fu, quello, un appuntamento al buio al quale “Lui” non voleva andare.

Presagio?
Forse.
“Lui” ha delle doti di intuito e sensibilità fuori dell’ordinario.
Un appuntamento al buio ma neanche tanto: c’era lo zampino di un “certo” Davide, in altri tempi un familiare acquisito per colpa di quell’imbecille della sorella di “Lui”.
Come scrivono quelli che (NON) sanno scrivere: questa è un’altra storia.
Non è online.
Di lei, della “Babbuina Araba” come la chiamava ricorda tre cose: il sorriso, mani e piedini proprio come gli piacciono. Il sorriso fu l’arma letale.
Ma “Lui” non poteva accontentarla per il desiderio di tornare in Marocco con “Lui”. La Babbuina Araba, una principessa in realtà, aveva Jasmine.
Piccola scimmietta di due anni.
Non poteva “Lui” lasciare, in quel tempo seppur così difficile, non poteva lasciare “Tartarughina”. Sacrificò anche la “Balduinense” per “Tartarughina”.
Non servì.
Va bene lo stesso.
Gli costò fatica lasciare la “Balduinense”.
Ricordava bene certe sere quando la porta dell’appartamento si apriva e dentro il grande salone neanche una luce accesa.
La “Balduinense” era famelica e gli piaceva accontentarlo in tutto, in tutti i suoi desideri di gioco.
Forse perché alla “Balduinense” piacevano da morire certi giochi in cui “Lui” era maestro con cattedra alla Alma Mater Studiorum.
La più antica facoltà con sede in Bologna.
Ed il riferimento alla città è sibillino e significativo perché… è un’arte che “Lui” conosce ed applica con eccellenza e devozione, profonda devozione assaporando ogni emozione di cui è capace offrire nelle lunghe, estenuanti, ore di adorazione ed applicazione della pratica oratoria.
A lungo e con studiata lentezza e leggerezza di contatto. Contro misura pareggiante l’offerta di quei dettagli che lo facevano impazzire, dai blackheel alle trame fishnet nere con richiami sottolineanti profondi canyon di bellezza lussuriosa. Era un gioco di Menti ben oltre l’estetica e le forme, per “Lui” è la Mente che gli interessa, come la Mente lo coinvolge e come la Mente conduce il gioco sapendo con maestria stuzzicare le fantasie della Mente, lasciando attraverso comportamenti e piccoli dettagli che “Lui” è capace di cogliere, le tracce per il sentiero da seguire per arrivare al fulmine nel cervello, quello che leva il respiro davanti alla bellezza della seduzione e l’appagamento fisico insito nella Mente.


Delle italiane un tempo gli piaceva lo stile, l’abbigliamento elegante consono a quel principio estetico che si raggiunge se lo hai nell’Anima. Puoi vestire con firma ed esse un cafone col portafoglio pieno e puoi comprare sulle bancarelle o agli spacci aziendali ed essere una donna, o un Uomo, che si nota per la presenza, per il carisma, per lo charme. “Lui” aveva un fornitore di fiducia, un buco nel muro in Via dei Campani, dalle parti dello Scalo San Lorenzo. Tal Vittorio. Entravi in quel buco nel muro ed attraverso un labirinto di stanze ed appendi abiti trovavi quel che serviva per ESSERE. Vittorio, gran paraculo, si girava tutte le più celebrate fabbriche e comprava comprava. E rivendeva, rivendeva. Cosa? “Loro Piana” per esempio. Lane estive di pregio o cachemire impareggiabile, in vendita per pochi euro. A volte nel buco nel muro serviva il numeretto. Da quelle parti tutto il terziario avanzato conosceva “Vittorio” ed i suoi prezzi.
Delle italiane, “Lui” cresciuto attaccando veri quadri di nomi illustri della storia dell’arte, studente poco disciplinato a Valle Giulia e Fontanella Borghese ma nominato assistente ufficioso sin dal primo anno per una cattedra importante, delle italiane piaceva l’Anima viva sotto i metalli. Il prof gli affidava spessissimo nei giri con funzione di portaborse, la sua 1750, quella con il volante Nardi. In legno. Roba seria, tanta roba. La coupé la faceva vibrare quando la guidava “Lui”, non le risparmiava gli urli del motore. E lei, la 1750 due porte, guizzava nel traffico dei lungotevere con argento vivo dentro. Che automobile!
Ecco perché ora gli piacevano quelle di Ghidella e quelle di prima ancora quando l’auto italiana era un prodotto di cui andar fieri seppur con qualche difetto. Non gli piacevano quelle di pulloverino, quell’odioso genio di Marchionne, quello della svendita del prodotto italiano per far cassa.

Trovava inaccettabile certe prese per i fondelli come la nuova Thema o come la Jeep che altro non è se non una 500 X vestita in altro modo.
Non si possono usurpare certi nomi e certi marchi con prodotti che in fuoristrada sfasciano gli assi posteriori.
Per non parlare di Thema, un’auto transoceanica che da premium è finita ad auto di piazza.
“Scansata”, poi, pure dai tassinari.


Ma “Lui” ora aveva una esigenza.
Doveva guidare una insospettabile.
E doveva essere davvero insospettabile tanto per il marchio quanto per il modello.
Doveva essere un’auto per la quale “Lui” provava diffidenza (disprezzo) e della quale aveva detto ogni brutta cosa innominabile a cominciare dal nastro adesivo per serrare certe condutture dentro il cofano. E di questo era certo, non solo gli era stato raccontato da autorevole fonte, “Lui” aveva potuto aprire quel cofano con la doppia griglia per le prese d’aria.
Aveva bene in mente il modello, sì era proprio quello.
La Giulia Quadrifoglio.
Di chiederla a Torino (e già questo – la città – dice molto) non se ne parlava neanche. I rapporti erano compromessi da tempo, da quando decise che non sarebbe stato lo scendiletto di Maria, la potente, moderna, MammaFiat.
Fece semplicemente quello che tutti dicevano avrebbero fatto ma non facevano.
Voluto fare ma nei loro sogni.
“Lui” lo fece.
Venne semplicemente “cancellato”.
Ma a “Lui”, quella insospettabile automobile serviva.
Perché, ora, aveva un nemico da abbattere.

NOTE
PER IL SET
E LO SHOOTING

Quel 2019 non era facile. Aveva solo una consolazione che nasceva da una nuova “Ostrica” di terra. Un’Ostrica dalla figura minuta ma perfetta nelle forme e perfetta nel viso. “Lui”, definito in altra vita da una bellissima donna come un esteta, non era uno che si lasciava andare alla prima “Ostrica” di passaggio. Aveva bisogno di un coinvolgimento emotivo perché si svegliasse quella parte di “Lui” propensa a considerare una preda “L’Ostrica” incontrata. Senza un coinvolgimento mentale “Lui” è incapace. Mai considerato “L’Ostrica” qualcosa da usare. Il contrario. Ammirare, adorare “L’Ostrica” senza neanche toccarla, al massimo sfiorarla, era uno dei suoi desideri più intensi. Vedere negli occhi dell’ “L’Ostrica” il piacere dell’abbandono ai sensi e percepire gli infiniti viaggi delle fantasie, era il massimo dell’erotismo e del sesso secondo “Lui”. Traeva infinito piacere, sottile lussuria, ammirando l’abbandono fisico e mentale dell’ “L’Ostrica”. “Lui”, è così. Dietro quell’aspetto di figlio di puttana, pieno di cicatrici profonde che la vita ha voluto lasciargli in ricordo di anni terribili, si cela un’Anima di grande Luce ed Energia. Ora, mentre per la prima volta ammira “L’Ostrica” con spudoratezza offerta, è in estasi. Quella figura così minuta ma così selvaggia e desiderosa di piacere è lì, davanti a “Lui” e si offre per avere finalmente il suo piacere e per il piacere perverso di “Lui”. Sarà una lunga notte di lussuria.

“Lei” non aveva idea verso quali sconfinati territori di piacere mentale e fisico “Lui” l’avrebbe portata. Sentiva dentro di sé una voglia irrefrenabile di abbandono al piacere del sesso fatto solo ed esclusivamente con desiderio di ricerca del piacere, con perversione mentale. Aveva “Lei” una voglia di lasciarsi andare e guidare da “Lui” alla esplorazione di territori che teneva nascosti nel profondo della sua mente, inconfessabili pensieri di trasgressione, immagini di piacere che nelle notti silenziose ed in solitudine immaginava, e voleva da tempo esplorare anche solo con il pensiero per provare quell’immenso piacere fisico che nasce nella mente e trova sfogo nei sapienti tocchi delle dita sulle labbra bagnate di desiderio. Sognava una complicità tra due Esseri, una complicità estrema, non immaginabile tra persone normali. Sapeva che bisogna essere menti superiori, essere capaci di comprendere senza giudicare, essere capaci di immaginare il desiderio nascosto che vuol essere appagato.
E far sì che ciò accada, con la naturale, spontanea complicità di “Lui”.
Una esortazione alla trasgressione, alla lussuria, al peccato carnale terribilmente appagante il corpo
ma in modo speciale la Mente.
E con complicità sfiorare lo slingback nero, il blackheel da “Lui” adorato, indossato per l’occasione, mentre occhi famelici osservano già la scena immaginando quel che poi potrebbe accadere, quel che “Lei” farà, quel che “Lei” vuole fare per il suo e di “Lui” appagamento mentale e fisico…
Sapeva che sarebbe stata un’estate rovente, rovente per il piacere mentale e poi forse anche per quello fisico. Sapeva che si sarebbe fatta condurre da “Lui” ovunque “Lui” avesse voluto verso ed attraverso tutti i colori dell’arcobaleno del sesso, quel sesso fine a se stesso ed alla trasgressione più nascosta in ogni mente capace di immaginare.